Milano, 23 giugno 2017 - 11:15

Il disegno di legge che potrebbe mettere al bando l’iPhone in Italia

Presentato un ddl in Senato da Quintarelli, sostenuto anche dai Cinque Stelle, all’articolo 4 si oppone ai sistemi chiusi (tipici della Mela) e chiede il diritto, anche per i privati, di utilizzare in modo libero software, servizi e contenuti

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ROMA - Dalle parti di Apple sono esterrefatti e qualche dirigente sbotta: «Finirà che dovremo fare un cellulare apposta per l’Italia. O bloccare i nostri». Irritazione che non è rimasta circoscritta a Cupertino, California, ma è arrivata a Palazzo Madama, Roma. Ed è stata raccolta soprattutto dalla componente renziana del Pd, preoccupata per una legge passata in sordina alla Camera e che ora sta per essere calendarizzata al Senato. Legge, sostenuta fortemente dai 5 Stelle, che prevede il libero accesso a software, contenuti e servizi. E che va a confliggere con una delle regole di Apple, la non compatibilità con altri sistemi informatici. Una legge che metterebbe in difficoltà la Apple. Ma anche Renzi che, insieme al Ceo Tim Cook, ha presentato il primo centro di sviluppo per app in Europa, che è nato da poco a Napoli.

La battaglia di Quintarelli

Il disegno di legge (qui il testo depositato al Senato) è stato fortemente voluto da Stefano Quintarelli, dei Civici e Innovatori, storico esperto della rete che è più volte intervenuto contro i giganti del web, per chiedere il pagamento delle tasse anche in Italia. La sua legge, però, è più radicale. Perché all’articolo 4 si spiega che gli utenti «hanno il diritto» di utilizzare «a condizioni eque e non discriminatorie software, proprietario o a sorgente aperta, contenuti e servizi leciti di loro scelta». Come è noto, su computer e dispositivi mobili Apple, non è possibile installare software a sorgente libera. Di qui il rischio che i dispositivi della casa americana siano inutilizzabili in Italia. Se non con complessi meccanismi (il jailbreak), di dubbia legalità.

I renziani dalla parte della Mela

La legge sembrava avviarsi su un binario morto, quando è arrivata notizia di una prossima calendarizzazione in Senato. Facendo scattare l’allarme di alcuni parlamentari vicini a Renzi. Che da tempo combatte una battaglia per evitare vincoli troppo pesanti alle multinazionali di Internet. In prima fila tra i critici c’è Sergio Boccadutri, vicino a Maria Elena Boschi e già responsabile innovazione del Pd: «Il fine della legge può apparire giusto, ma se applicata solo in Italia può produrre una distorsione di mercato enorme e incomprensibile. Sarebbe più corretto attendere la definizione di regole precise europee, perché i servizi digitali non hanno confini nazionali. Altrimenti, è come se avessimo deciso da soli di annullare il roaming soltanto in Italia».

Prima viene il regolamento europeo

Anche Sandro Gozi, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri, è perplesso: «Non c’è un bisogno assoluto di fare una legge in questa materia, perché è già in gran parte disciplinata dal regolamento. Sarebbe improprio procedere. Abbiamo fatto sapere più volte in via informale a Quintarelli che, se vogliono andare avanti, deve esserci un pieno rispetto del regolamento e non si devono creare situazioni di incertezza giuridica e discipline diverse. Anche perché, in caso di contenzioso, la primazia sarebbe del regolamento europeo».

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